sabato 18 settembre 2010

Erbe selvatiche


Nel balcone di casa resistono poche piante verdi e alcune succulente, devono essermi affezionate. Si impegnano le mie piante, da lungo tempo sopportano la mia dimenticanza ad annaffiarle e l’attacco di quel fastidioso parassita che viene chiamato cocciniglia a scudetto. Quando ho cominciato con qualche vaso forse miravo ad imitare la grandiosità dei giardini pensili di Babilonia, alle elementari sentendone parlare dall’insegnante ne rimasi affascinata. In quei giardini il problema dell’acqua veniva risolto utilizzando gli schiavi per la costruzione di immense opere di canalizzazione. Nel mio balcone si risolve con numerose passeggiate avanti e indietro con l’annaffiatore ora pieno, ora vuoto. I giardini pensili di Babilonia: esistenza segreta per le nuove generazioni, con questi tagli all’istruzione, ne scopriranno la fine solo in qualche film d’avventura tipo Indiana Jones, i più pigri si accontenteranno di pensare che siano le trovate geniali degli ideatori per la pellicola in questione, siano rovine o ricostruzioni di città perdute.
Forse correlato con l’esposizione al sole: un oretta di sole feroce e poi ombra tutto il giorno, ho visto spuntare nel vaso dello Spatiphillum alcuni funghi giallissimi prima che introducessi solari succulente, quando ancora pensavo che mi sarebbe piaciuto occuparmi di un balconcino di piante fiorite.
Oggi mi sento in colpa con loro, non sanno che su quello della cucina coltivo basilico, rosmarino, erba cipollina e dragoncello che annaffio con continuità. Per non alimentare feroci invidie e gelosie: cerco di essere naturale, non farmi scoprire troppo entusiasta delle aromatiche antagoniste. Annaffio quelle piccole affaticate parlando con loro, le incoraggio. Al “Geranio rosso” ufficialmente detto Pelargonium zonale provo a dirgli che è il migliore e lui a breve, mi ringrazia con nuovi boccioli.
Più volte ho tentato di introdurre semi spontanei per invitarle ad essere meno servizievoli più ribelli, trasformare quel caos verde in un apparente ordine casuale. La povera Tradescantia blossfediana, passata alla storia e chiamata da tutti “erba miseria” introdotta da me per creare frescura e riparo alle piccole nate s’è prima espansa oltremisura contraddistinta da piccole fioriture rosa, poi anche lei ha ceduto: deve aver sentito che non eravamo affini. Inutilmente se stessa lei, esigente io alla ricerca di flora edule.
La spontaneità, sembra non voglia aderire al mio disegno, piante che normalmente infesterebbero prati, aiuole qui vengono soggiogate dalla glaciale ombra delle pareti e dalla contenuta geometria dei vasi o forse dall’inalterabilità del terreno.
Le erbe spontanee mi sono simpatiche. Sto per partire con un nuovo esperimento: far crescere nei vasi la cicoria, la borragine, l’origano, la mentuccia e il timo.
Immagino le rose di foglie delle succulente Echeveria far capolino, cercando di compiacermi, tra la Borragine delicata con le sue foglie cuoriformi, pelosette e buone formanti le gemme da cui spunteranno i commestibili fiori stellati dal colore blu. La cicoria nuova nata sotto le spine del Ferocactus Gracilis mostrare imitandolo, le per niente aggressive foglioline roncinate. Mi figuro già il suo futuro contendere con uno svettante caule, alla grande colonna spinosa e lanosa dell’Espostoa Melanostele, un raggio di sole per la maturazione dei fiori azzurri. La serpeggiante mentuccia ricadere alla ricerca di nuovo terreno tra i bei fiori peduli color fucsia e rosso acceso della Schlumbergera frida “cactus di natale”. La bella Begonia coccinea Hook: slanciata assottiglia verso l’alto, la vedo sfiorare titubante le radici aeree che spuntano lungo il fusto sottile e angolato del Selenicereus Pteranthus, evitare le costolature con le rade e regolari areole spinose per rivaleggiare con le improvvise e brevi fioriture notturne: coriandoli di piccoli fiori discreti, raccolti in rametti resistenti lunghi giorni quelle della Begonia, appariscenti, grandi a lungo tubo con numerose file di petali, belli per una sola notte quelli del Selenicereus. Queste non sono commestibili, sono un eccezione a cui non resisto. Sono belle non chiedono molto e sono generose.
Chi sa! anche nei giardini pensili di Babilonia avranno utilizzato le piante per farne manicaretti.
Mi immagino sigillare con stampo tondo, festonato futuri ravioli di sottile e porosa pasta all’uovo farciti con ripieno di foglioline di borragine e ricotta. Le cimette fresche della Borragine, prima insaporite e scottate, appena in una padella: rosolandole in olio d’oliva insieme ad un leggero e fine battuto di scalogno. Unite alla ricotta fresca e a due foglioline di mentuccia spezzettate a mano, solo una festonata a pioggia di pane grattugiato, eventualmente un filo d’olio, sale quanto basta.
Passarli in padella poco prima di servirli, farli girare nel sughetto che resta facendo sfumare del brandy in olio d’oliva completando con una spolverata di parmigiano, solo una presa da fondere leggermente sul fuoco.
Assaggiare chiudendo gli occhi e immaginare che sia tutto vero!

mercoledì 5 maggio 2010

Cucina casereccia di Naima


Giovanni fa saltare le verdure dentro la grande padella di alluminio con un gesto da giocoliere, vi aggiunge una manciata di erbe aromatiche, portando a termine la cottura della pasta insieme alle verdure e al sughetto.
Serve in tavola. Di là lo aspetta Marta.

E' in pensione da poco ed il giorno in cui ha salutato i colleghi, era pronto a dedicarsi alla sua passione di sempre: la cucina. Quel giorno stesso si era recato in un negozio specializzato in prodotti da gourmet dove il famosissimo Chef Verzetti presentava la linea di pentole ed accessori appositamente disegnati per lui da un noto designer. Un segno del destino.

Un capannello di persone ammira gli accessori in esposizione, anche Giovanni si avvicina e mentre sbircia, valuta e soppesa padelle, si trova faccia a faccia col grande Chef: lo saluta con discrezione e si complimenta per una delle sue ricette appena provate. Lo Chef lo ignora completamente, non lo lascia nemmeno finire di parlare e si volta dall'altra parte a fare il “piacione” con un paio di giornaliste. Giovanni si indispettisce e va via dandogli dello stronzo.

Dimenticato il piccolo incidente, la vita di Giovanni prosegue tranquilla, anzi gli sembra sia più ricca di impegni adesso che prima d'andare in pensione: coltiva costantemente la sua passione per la cucina e le signore del vicinato gli chiedono consigli, fino a quando non gli arriva una lettera della RAI dove si comunica che è stato scelto come concorrente di un seguitissimo programma culinario. Non si spiega come possa essere successo e ne parla subito a Marta: è stata lei a inviare per lui la domanda di partecipazione.

Nonostante la sua riservatezza, Giovanni decide di partecipare. Il suo sfidante è un manager tutto giacca-cravatta che preparerà un piatto nouvelle cuisine. Giovanni punterà tutto sulla cucina tradizionale: la cusina casereccia ti riporta all'infanzia, alle radici, ti prende nel profondo.

L'attività frenetica degli studi televisivi lo carica, riesce a scambiare quattro chiacchiere con i cameramen e con il suo concorrente che tutto sommato non è così antipatico come aveva immaginato.
Fanno una prova il giorno prima, il giudice di gara non è presente e viene impersonato da uno dello staff. Poi, finalmente, la sera si va in onda, in diretta. Giovanni ed il suo concorrente sono in gran forma e si lanciano occhiate di sfida. Il giudice è diverso per ogni puntata e si tratta ogni volta di un personaggio di spicco della scena gastronomica italiana. Viene presentato al pubblico ed ai concorrenti: è lo Chef Verzetti!

Lo Chef fa il “piacione” con la Conduttrice Evelyn, la quale è ormai abituata a dover sopportare questo ed altro per “potè campà”, e poi si manda in onda la pubblicità. Giovanni è agitato, gli sudano le mani, vorrebbe andar via, ha ancora una gran voglia di mandare affanculo Verzetti. Non può mollare tutto, e poi sono in diretta... Cerca un tranquillante nella sua borsa, ma trova mentine, integratori, lassativi, tutto tranne i tranquillanti. Prova a respirare a fondo, rientra in studio, la truccatrice dà una ripassata al trucco e sono di nuovo in onda.

Verzetti dovrà assaggiare ogni pietanza e dare il suo giudizio: il vincitore porta a casa 1000 euro, non un granché ma ci si può comprare dell'ottimo vino.

I concorrenti hanno 10 minuti di tempo per preparare il piatto: volano sbuffi di farina, spruzzi d'olio, è tutto uno sbatter di pentole e lame di coltello. La telecamera riprende ora l'uno ora l'altro e la Conduttrice Evelyn cinguetta commenti su ogni inquadratura. Tra un passaggio e l'altro, Giovanni tira fuori la boccettina del lassativo e lo versa tutto nella sua pietanza, il Cameraman sta per inquadrarlo ma si accorge del movimento e, siccome Verzetti sta sulle palle pure a lui, volta la telecamera sull'altro concorrente anche se Evelyn sta descrivendo la ricetta di Giovanni. Scade il tempo. Si fa il silenzio nello studio e Verzetti ammantato di solennità, assaggia le pietanze dei due: vellutata di ostriche al pepe verde e mango per il manager, sformatino di bucatini alla gricia con profumo di tartufo per Giovanni: un'intero flaconcino di lassativo in uno sformatino così piccolo...
Verzetti assaggia la vellutata, si rifà la bocca con un sorso di vino, assaggia i bucatini... assapora e ci ritorna più volte. Mentre il Maestro si ritira per deliberare, va in onda la pubblicità. Al rientro in studio è la Conduttrice Evelyn a dare il voto: lo Chef Verzetti è stato costretto a scappar via per un'emergenza. Vince Giovanni, e ritornato a casa festeggia con Marta e altri amici. Dopo quell'avventura tornerà alla sua vita tranquilla, coltivando al sua passione. Verzetti invece, nauseato, non si sa perché, anche solo all'idea del cibo, avrà una crisi mistica e starà per un po' lontano dalle scene e dalla cucina.

domenica 7 febbraio 2010

Pasta e fantasia

Di buon mattino, sotto una luce gialla e calda, nel negozio – che per quantità, varietà e per i colori sembrava un bazar – cominciavano a entrare i primi clienti. In una busta, un bucatino appena sveglio, si dimenava per stiracchiarsi e un vocìo cominciava a salire dalle altre buste trasparenti.
Un ‘buongiorno’ corale s’era alzato e, dopo un rumore di sfregamento quasi impercettibile, tornò la calma fino a quando non ci fu il primo commento della giornata: «Sembra iniziata ‘na bella giornata de sole.»
Dovete sapere che, dove c’e il nostro negozio esclusivo, il bucatino la fa da padrone. Il suo modo di fare baldanzoso e spesso spocchioso innesca lunghi dibattiti che, al confronto, le tribune politiche sembrano uno scambio di battute fra amici al bar. E, sempre per la stessa ragione, si è presa l’abitudine di parlare la stessa ‘lingua’ del ciarliero bucatino perché capitolino.
Questa sentita superiorità scaturisce dalla convinzione che in nessun tipo di pasta c’è il miglior condimento esistente al mondo che è il sugo all’amatriciana, l’intingolo più buono e saporito che ci sia. Una convinzione da rispettare, ma…
«All’amatriciana è la morte vostra…» dissero gli spaghetti con ironia.
«A li mortacci vostra, ‘nvece» replicò il bucatino toccandosi «E me lo dovevi puro aricordà? Pe’ colpa vostra semo tutti imparentati, semo tutti ‘na pasta. Ma volemo scherzà?»
«Ma che stai a dì. La vera amatriciana se fa co’ li spaghetti. Nun lo sapevi? E poi, ‘ndo’ vai vai, nun è mai tarquale» e, ripreso fiato, continuò: «Pe’ preparà gli spaghetti all'amatriciana devi tajà er guanciale a pezzettini – me raccomanno je devi levà la cotica – mettelo in una tièlla a frigge co’ l'òjo e peperoncino tritato, co’ 'n tantinello de vino bianco e lo lasci svaporà. Quando er vino è svaporato, scoli e cacci il guanciale dalla tièlla pe’ mettelo da parte ar caldo. Se mettono li pelati nella tièlla der sughetto de cottura der guanciale. Se còce er pommidòro nel mentre se coceno li spaghetti; scolateli e sbuzzicateli dritto dritto nella tièlla, si aggiugne er guanciale, e facennoli sartà ‘n po’ pe’ misticà bène er tutto. ‘Na grattata de pepe nero e abbondante pecorino. E bon’appetito.»
Al che si risentì il rigatone: «Perché quello mio alla vaccinara de ‘na vorta, nun era bòno? Stamo tutti aspettà che se sdogana.»
Ovviamente gli spaghetti non si fecero reggere: «Guarda che semo noi che la famo da padroni.»
«E a noi andove ce mettete?» risposero tutt’insieme le fettuccine «Ve damo pure er primato mondiale ma dopo gli spaghetti venimo noi. Noi semo le più famose! Voi, invece, appartenete ar tipo generico de’ li maccheroni.»
«Fateve ‘na cantata e ‘na sonata co’ li cuggini alla chitàra» si rifece vivo il bucatino con gli spaghetti.
«Eh eh, n’esaggeramo, nun la sparamo grossa. Qua er primato mondiale ce l’avémo noi. In tutto er monno conoscono li ravioli» venne la voce dal reparto di quelli… a panza piena.
«Pure noi semo internazionali» fece la lasagna.
«Panza mia fatte capanna, dicono l’ommini» fece eco il bucatino con tono sincero pensando di dire chissà quale verità.
«Me sa che qua stamo a esaggerà. Semo tutte bòne pe’ l’ommini. Noi co’ ‘a cacciaggione che c’annamo male?» fecero in coro le pappardelle.
Gli gnocchi non ce la fecero a stare zitti: «Aho, mo c’avete stufato. Quanno mai a voi è stato dedicato ‘n giorno? Nella città sempitèrna er giovedì ce semo solo noi. E’ d’obbligo e nun se transigge!»
«…che ve fanno la festa er giovedì, hai voluto di’?» fu la risposta spavalda e canzonatoria del solito. Quest’ultimo, s’è capito, ne aveva per tutti. In attesa di scelte da parte della clientela, per combattere la noia – direi più per abitudine – si divertiva a sfottere, a provocare la pasta che... dorme.
E fu la volta di…
«Anvedi quelle che conoscono er… clarinetto. Annateve a nasconne, che se ve vede la boncostume…» ce l’aveva con le chitarrine che ritennero di non rispondere e si rigirarono dall’altra parte.
Non contento, se la prese con i capellini perché erano buoni solo per gli ammalati e gli anziani; con i vermicelli, poi: «Ma come ve và. Ma indove annate co’ ‘sto nome?»
«Degustibusse» gli rispose qualcuno.
Non si salvarono le bavette: «Me sembrate quelle che stanno sempre co’ la voja ar gargarozzo» nè i ditalini che prendeva in giro giocando sugli equivoci e ammiccamenti. Giocava molto sui doppi sensi.
«Ma fatte l’affari tua, pensa alle corna tua!» urlò qualcuno che non si sottometteva a quelle prepotenze – per farlo desistere. E altri presero coraggio: «’Sto ciarlone» e da un’altra parte: «A fregnacciarooo.»
Ma quella faccia tosta non desisteva e non provava vergogna: «So’ libbero de di’ quello che me pare. Guarda andove sto ‘n ‘mezzo?» e, poco dopo, continuò la carrellata delle sue critiche e dei suoi sfottò.
«C’avemo pure li terroni…» Lo disse senza cattiveria ma solo per il gusto di provocare. E infatti la provocazione ebbe effetto e la risposta non si fece attendere: «Ma statte zitto. Come ve chiammeno a voi, …oni e …oni. E c’è la rima!»
Ormai sembrava una guerra aperta su un palcoscenico teatrale.
«Ah siiiì, e come la mettemo co’ ‘sti maltagliati, malfatti e mezzemaniche. Che bella compagnia!» e proseguì con finta cattiveria perché spesso gli scappava pure da ridere «Ma tu guarda ‘ste orecchiette. E’ tutto un dire. Nun vojo equivoca’, ma tu pensa che so’ pugliesi e se sposano quasi tutte col genovese. Il pesto co’ le pesti» e rise di gusto solo lui «…e quelli strangola preti? Aaah, se potessi strozzà chi dico io… Basta, sennò m’avveleno er sangue.»
A metà giornata ci fu un momento di calma. Purtroppo non durò molto. A scatenare la rissa fu uno sprovveduto avventore che, senza farlo apposta e senza accorgersene mischiò, sovrapponendole, alcune confezioni: una confezione di cannelloni andò a finire senza volere di nessuno – e la responsabilità non è nemmeno di chi scrive che osservava a distanza – proprio nella cassetta delle confezioni di bucatini. Apriti cielo: « Ahooo, e scanzateve! Nun approfittate perché sembrate ‘n bazzuca» disse risentito. E, per cercare consenso, si girò dalla parte di quelli a… panza piena e, fra questi, incrociò lo sguardo di agnolotti e cappelletti. Approfittò per allargare lo sguardo proprio da quella parte, dove quelli a… panza piena era la pasta più delicata.
«Anvédi oh! c’è stanno puro li pelmeni, che dalla Russia so’ venuti a riscallasse qua? Mo ce pensa l’acqua sur fornello. Quanno è pronna, al punto giusto, ‘na bella notata nun v’a leva nissuno. Anzi, forse ve fanno fà pure quarche sarto mortale a forza de giravve». Ci fu una risata generale per dare soddisfazione a chi aveva fatto quella triste battuta, non sapendo che l’acqua calda, prima o poi, aspetta tutti. Come dire: alla morte non sfugge nessuno. «Oh, ce stanno pe’ tutte le misure e pe’ tutti li gusti – rivolgendosi ai tortelli, tortellini e tortelloni – ‘nzomma, pe’ tutte le bocche… E ce stanno puro li tortellacci, quelli co’ la cocozza ‘nventati dai polentoni de Ferara». Poi, per darsi arie acculturate: «Da ‘n po’ de tempo me tocca véde puro ‘sto cuscusse. Prima era ‘n piatto straniero, mo è quasi diventato de casa nostra insieme a quell’antro, come se chiama, mannaggia cià ‘n nome strano, ah il kebabbe, che con noi nun cià gnente a ccheffà e abbita da ‘nantra parte.»
Il bucatino riflettè: «Però nun me arincréscono ‘sti forestièri, ‘sto pizzico de orientalità.»
Tante ore erano trascorse, la giornata era stata lunga.
Si sentì un rumore di serrande.

venerdì 29 gennaio 2010

Orecchiette con i broccoli


Gina era da tempo che non andava a trovare la sua amica Claudia in campagna, forse da più di dieci anni, da quando si era divorziata dal marito. In effetti, forse per quel motivo. Non poteva sopportare di trovarsi a contatto con una famiglia ancora felice, con bambini cane e gatto, il tutto circondato da verdi colline toscane e alberi di mimose. Un antico casale su due piani con le finestre rosse e un giardino che in realtà sembrava un parco, immense distese di campi di grano che affacciavano dalla finestra, in inverno questa distesa verde si confondeva all’orizzonte con la foschia azzurrina del cielo mattutino...questa l’ultima cartolina, l’intensa immagine che ha ancora negli occhi. Però ora era arrivato il momento, si sentiva nuovamente forte e pronta per affrontare l’amica con la sua vita placida e tranquilla, nella “casa della prateria”. Le indicazioni ricevute da suo marito, perché l’amica Claudia non ha ancora capito dove abita, sono piuttosto dettagliate ma preferisce in ogni caso viaggiare con la luce del giorno, decide quindi di partire verso le quattro del pomeriggio. Mentre è in macchina imbottigliata nel traffico e nei super alcolici mignon ripensa malvolentieri alla sua vita da single divorziata. È stufa, ci vorrebbe un uomo “vero” accanto, che si prenda un po’ cura di lei. Basta con avventure senza senso e tanto sesso! Vuole innamorarsi nuovamente…ma di chi? Quale uomo sopra i quarant’anni, bello, disponibile, ricco, intelligente e affettuoso è ancora solo? Se esiste è divorziato con figli, quindi anche lui con una vita bruciata, piena di dolori, odi, doveri e responsabilità verso l’ex moglie, in pratica un nevrotico, isterico, pedante e forse represso. Se invece è single, è probabile che abbia qualche problema d’instabilità emotiva, o d’identità, o è uno sfigato pazzesco, o peggio impotente. Ad ogni modo è uscita dalla città finalmente e si prepara a prendere l’autostrada. Il bigliettino su cui ha appuntato le indicazioni è scritto male e di corsa, nemmeno lei capisce tanto bene quale uscita deve prendere, la prima, la seconda o la terza? Vada per la terza, almeno se sbaglia può tornare indietro. Dopo un’ora di viaggio abbondante si ritrova nella campagna, ma nessun’indicazione precisa, solo una successione di paesi con nomi similari e neanche un’anima. Sta cominciando a scendere il buio.

- Pronto? Chi parla?-
- Claudia sono io…
- Io chi?
- Io Gina! Scema!
- Ah, Gina…ma dove sei? Oramai sono le 9 di sera, ti avevamo dato per dispersa…
- Infatti, lo sono! Ho finito il credito e non ho il carica batterie in macchina
- Ma adesso da dove chiami?
- Da un telefono pubblico…sì, Claudia n’esistono ancora per fortuna! Ma finiamola con discorsi inutili, non ho abbastanza spicci, mi sono persa!
- Ma dove sei esattamente?
- Se lo sapessi non ti chiamerei no!
- Già…ma dammi un piccolo indizio, altrimenti come faccio ad aiutarti?
- Mm…vedo davanti a me una collinetta con una croce…
- La croce è azzurrata, con bordi bianchi e la parte destra è fulminata?
- Esattamente…
- Scema sei all’ingresso di casa nostra!
- Pure la croce hanno messo…
- Che dici Gina?
- Nulla… arrivo, tra 2 minuti sono lì….
- Ah, Gina, attenta ai cani…
- Cosa?...click

Un abbaio di cani, urla e guaiti accompagnano il trillare del campanello di casa e Claudia va ad aprire la porta. Appare Gina trafelata, con la lingua fuori e la valigia in mano.

- Cazzo potevi dirmi dei cani…
- Te l’ho detto…
- Mm…Caspita che bella casa che hai!
- E’ sempre la stessa da dieci anni .
- Non me la ricordavo così.
- E’ identica….
- Va bene come dici tu…ciao Claudia sei cambiata… più bella!
- Sono sempre la stessa da dieci anni .
- A me sembri più bella
- Sono identica…
- Ok Claudia, dove posso posare le valigie?

Gina si guarda attorno e ricorda chiaramente quando venne l’ultima volta col marito. Anche all’epoca si erano persi, ma per colpa sua naturalmente. La bella dimora di Claudia è un vecchio casale in pietra di tre piani con un allegro movimento di scale e scalette.
All’interno l’arredamento è assolutamente lasciato al caso, non c’è né logica né intenzione nella posizione di mobili e suppellettili. Proprio questo disordine di gusto e colori dà all’ambiente l’impronta di uno stile libero e un po’ bohemien.

- Hai cenato Gina?
- Sì non preoccuparti, un panino per strada…ma dove sono i tuoi figli e il marito?
- Gianni è andato a portare da un amica la grande che starà fuori il week-end e la piccolina è già a letto
- Che traffico!
- Già tutta vita…vieni Gina, lascia la valigia in salotto, dormirai nel divano- letto stasera.
- Ma la camera degli ospiti?
- E’ diventata uno studio, o almeno dovrebbe essere.
- Perché dovrebbe?
- Perché quello stronzo di mio marito inizia sempre tutto e non finisce mai nulla!
- Ah…ok il salotto va benissimo.

- Senti Gina domani mi devo alzare molto presto, ti dispiace se andiamo a dormire che per me è già tardi? Ci racconteremo domani…
- Ah…tutta vita!
- L’ho già detto io.
- Scusa marchesa, ma Gianni?
- Non ti preoccupare per lui, la strada per il letto la conosce…
- D’accordo…il divano letto è già fatto?
- Certo! Mica tratto male i miei ospiti!
- Ovvio…
- Ah Gina dimenticavo, il cane dorme sempre in salotto, sulla sua cuccia. Attaccato al calorifero.
- Perché legato?
- Stasera è previsto un brutto temporale… domani ti spiego
- Ok…e il gatto?
- Se non ti da fastidio lui gira liberamente, solitamente ha i suoi angoli per dormire…
- Va bene, nessun problema, amo gli animali.
- Notte Gina
- Notte Claudia.

E così Gina si ritrova da sola al buio in salotto, lei che pensava di distrarsi, di evadere dalla vita cittadina, si trova a letto come se ci fosse il coprifuoco! E senza neanche vedere Carosello. Decide di prendere il libro, in fondo se non legge in questa circostanza Anna Karenina, rischia seriamente di diventare carta da riciclo, il libro naturalmente. In alternativa ci sarebbe il taglio delle vene, ma non ne vale la pena. Messa il pigiama e infilata sotto le coperte sente di avere i piedi ghiacciati e si accorge quindi della mancanza di riscaldamento. Solo un camino spento e una stufa a carbone in via d’estinzione. La nottata si fa interessante, comincia ad avere il dubbio di uscirne viva. “Ma dai Gina, non sarà un po’ di freddo a spaventarti!”. Inizia a leggere, ma esattamente quando Sergeiv va a teatro, saranno le lunghe descrizioni degli abiti, dei gioielli, dei ricami, dei colori della pelle, del broccato del tendaggio, dei pomelli della carrozza, Gina si addormenta profondamente, senza accorgersi del temporale. La sveglia di soprassalto un rumore di mobili, uno strusciare, uno sbattere di legni, pum, pum, sdeng. Gina si alza dal letto e accende la luce, Orzo, il cane, in piedi attaccato al termosifone sta cercando di cambiare l’arredamento della casa. Spaventato dal temporale, spinge la cuccia in lungo e in largo, s’avventa contro la pendola rimanendo strozzato dal guinzaglio, sposta la poltrona, addenta il tavolino. Gina cerca di tranquillizzarlo con qualche carezza e lui si placa, tornando alla cuccia. Gina riprova a dormire. Dopo una mezz’ora ricomincia il circo, accende la luce e ancora il cane salito a quattro zampe sul tavolino, a questo punto impiccato, la sta guardando con occhi di fuori che sembrano dirle “aiuto, posso dormire con te?”. Gina incavolata s’avvicina a Orzo, allontana la poltrona, il tavolino, la pendola e gli toglie la cuccia da sotto le chiappe lasciandolo a dormire sul freddo pavimento. Annientato il cane, Gina cerca di riaddormentarsi, quando un verso gutturale proveniente da sotto il letto le fa spalancare gli occhi.. augh... augh…coff…coff, ma non erano gli indiani. Gina butta giù la testa, in una posizione plastica degna della migliore contorsionista e vede il povero gatto indemoniato con gli occhi strabuzzati che si sta vomitando l‘ultima delle sue sette vite, assieme ai resti della cena. Un maleodorante mucchietto di cibo decomposto sta sotto il suo letto e il gatto, con sguardo supplichevoli, sembra le chieda pure un bicchiere d’acqua. Gina comincia a imprecare l’attributo maschile che in questi frangenti è davvero efficace e per l’ennesima volta si alza dal letto. Bisogna ripulire. Sta facendo più ginnastica lei in quel salone, di quella che ha fatto in palestra per una vita. Il gatto la guarda supplichevole, la bestiola è ormai disidratata. Gina comincia a girare per la cucina e dintorni, aprendo ogni sportello e armadio. Essendo un’amante del poliziesco, anche se legge Anna Karenina, Gina prova a immedesimarsi nella padrona di casa per capire dove può aver messo lo straccio e lo spazzolone. Finalmente la lampadina s’illumina, spazzolone e straccio sono sotto la scala. La sospetta irrazionalità di Claudia diventava ora una certezza.

Oramai sono le cinque del mattino, Gina esausta s’accascia sul divano letto e s’addormenta, nemmeno avesse bevuto quattro vodka, quando improvvisamente un rumore assordante la sveglia nuovamente. Lo stereo ha preso vita autonomamente ed è partito a palla suonando “it’s a hard day night”! Come un automa Gina si alza e va in cucina, a tentoni si beve un bicchier d’acqua. Calda, perché sbaglia il rubinetto.
Mattina dopo, interno giorno. Gina seduta in cucina, addormentata sul tavolo a braccia conserte ancora col bicchiere d’acqua davanti, Claudia alla macchina del gas, bestemmia perchè non riesce ancora ad accendere un elettrodomestico regalato quindici anni fa dal marito, industriale, l’elettrodomestico naturalmente. Preme la manopola, agguanta l’accendigas, spara, molla la manopola, appare la fiamma pilota, a quel punto gira la manopola e dovrebbe apparire come per magia la fiamma, ma niente, bestemmia nuovamente e riprova. La figlia piccola appare con la coca cola in mano, avanzo della cena prima.

Gina prende consapevolezza della situazione, della sua faccia riflessa nello specchio, ora suo peggior nemico e alla voce di Gianni corre su per le scale per raggiungere un bagno.

- Gianni ciaoooooooo…quanto tempo…
- Ciao Gina ben tornata, dormito bene?
- Benissimo! Grazie
- Dalla faccia non si direbbe…

E le dà un buffetto sulla guancia. Gina non ha mai sopportato Gianni e vederlo adesso, con 10 chili di pancia in più, la consola della sua faccia struccata e distrutta. Con calma ritorna in cucina per bere il caffé che a questo punto Claudia forse è riuscita a materializzare sul gas. La doccia può aspettare. Dopo una colazione abbondante degna del migliore bed and brekfast, con marmellate di tutti i tipi, condita da frasi spezzate e assonnate e dalla martellante cantilena della figlia piccola, incantata sulla frase, “mamma mi compri domani…”, Gina va in bagno per iniziare la ristrutturazione. La giornata tutto sommato si prospetta tranquilla, fuori c’è un bel sole e gli uccelli cinguettano. In città non esistono questi sottofondi musicali, Gina è abituata ai palazzi grigi dove anche il poco verde che si riesce a vedere è quello delle aiuole negli androni. Una volta conquistato un aspetto decoroso, raggiunge nuovamente l’allegra famiglia, ma trova solo Claudia ancora intenta ai fornelli. Sta cercando di sfornare un pasto decente. Cucinare non è mai stato il suo forte, è sempre stata un’artista, senza nessun senso pratico. Mentre traffica nervosamente tra pentole e presine racconta a Gina che la sera prima che lei arrivasse, ha animosamente discusso con il marito e lui, che di solito durante i week-end con gli amici cucina perchè un ottimo cuoco, oggi ha deciso di scioperare. Entra Gianni con un’aria scocciata:

- Viene Sandro con i bambini e l’amica a pranzo. Io vado a prendere Flaminia.
E se ne va senza salutare.
- Chi è Sandro?
- Mah… un amico suo.

Gina si offre di aiutarla, più per pena che per umanitaria comprensione. Claudia si vuole cimentare nelle orecchiette con i broccoli.

- Claudia perché pasta con i broccoli?
- In onore del nostro ospite, Sandro è pugliese.
- Ah, simpatici i pugliesi!
- Guarda Gina, qui c’è la ricetta e questi sono gli ingredienti. Me l’hanno data le due ragazze del negozio di pasta fresca “ Punto e Pasta”, sono bravissime:

Orecchiette circa 200 grammi, 400 grammi di broccoli, un peperoncino, due spicchi di aglio, formaggio grattugiato, pepe nero, olio.

- Ma sono gli ingredienti per due persone?
- E allora? Basterà moltiplicare!
- Gina si convince ad aiutarla.
- Gina, che dici se al posto dei broccoli ci metto il cavolo bianco, tanto sono della stessa famiglia.

A questo punto per spirito di sopravvivenza Gina mette l’acqua sul fuoco in una pentola grande e si mette a lavare e tagliare a pezzettini i broccoli originali, non dei parenti stretti, e li mette a cuocere nell’acqua non appena bolle. Dopo circa 10/15 minuti aggiunge la pasta. Nel frattempo che pasta e verdure cuociono fa scaldare in una padella grande l'olio, il peperoncino e l'aglio ben tritato a fiamma bassissima. Claudia per fare qualcosa si mette a grattare il parmigiano e dispone il pepe. Gina sapeva che sarebbe finita così, la sua abilità di cuoca, riconosciuta da tutti gli amici, è sfruttata in ogni occasione. Guarda Claudia, che le risponde con un sorriso pieno di gratitudine. Mentre Claudia inizia ad apparecchiare la tavola torna Gianni, assieme a Flaminia e agli ospiti. Le orecchiette sono pronte, ora basta scolarle e farle saltare in padella in modo che s’insaporiscano. Un po’ di parmigiano e una presa di pepe e tutti a tavola.
Il pranzo è stato lungo ma ha dato modo a Gina di capire che quell’ amico di Gianni, Sandro, non è niente male. Nonostante la presenza di quella donna, forse la compagna dato che è divorziato, le è sembrato di essere stata notata piacevolmente anche da lui. La riuscita delle orecchiette ha contribuito e Claudia non si è lesinata in complimenti e ringraziamenti per tutta la durata del pranzo. Doveva farlo pesare anche al marito in qualche modo…Scambi di sguardi d’intesa, frasi e doppi-sensi sfociano, al momento dei saluti, in uno scambio di numeri di cellulare. All’insaputa della compagna misteriosa e anche un po’ muta. Naturalmente.
Dopo questo breve ma intenso intermezzo campagnolo, Gina torna alla sua routine quotidiana, lavoro, casa, palestra, aperitivo, lavoro, casa, palestra, aperitivo, ma senza più nessuna nostalgia della vita di Claudia. Ha fatto bene ad andare a trovarla. Se non altro per le orecchiette, le sono riuscite benissimo…

venerdì 22 gennaio 2010

IL PRINCIPE E GLI SPAGHETTI


«Principe, una disgrazia!»
«Che succede gran ciambellano?»
«Sono finiti gli spaghetti!»
Il ciambellano rimase immobile ad attendere la reazione del principe. Non che fosse un padrone così cattivo. E’ che tutti nella città di Pechino sapevano quanto al principe piacessero gli spaghetti, in tutte le combinazioni possibili.
Del resto solo lui poteva mangiarli. Nelle dispense del palazzo era conservata una quantità apparentemente infinita di spaghetti, dono ai suoi genitori il giorno della sua nascita da parte della Maga della Pasta Ardente, l’unica che conoscesse la ricetta segreta. Apparentemente infinita, perché in realtà era finita proprio. Cambiare dieta? Giammai piuttosto…
«Andrò dalla maga. Tu, ciambellano, e altri due servitori verrete con me.»
Così deciso, partirono per il viaggio. Un viaggio niente affatto semplice perché la maga risiedeva nel suo castello oltre la Foresta della Crusca Nera.
Appena entrati nella foresta, infatti, un orso enorme sbarrò loro la strada. Era molto nervoso a causa di un qualche strano fastidio che sentiva su di se. Il gran ciambellano, che aveva imparato il linguaggio degli orsi quando era giovane e viaggiava spesso nelle foreste del nord, confabulò con l’animale e capì il problema. Era infestato dai pidocchi. Bisognava aiutarlo a toglierli uno per uno. Il principe comandò che i due servitori rimanessero con l’orso. Li avrebbero ripresi al ritorno.
Continuarono il viaggio nella foresta, ma un nuovo animale si mise sulla loro strada. Un Leone triste e depresso sdraiato di traverso sulla strada impdendo loro il passaggio. Il gran ciambellano, durante un viaggio nelle jungle del sud, aveva imparato anche qualche parola di dialetto leonesco e comunicò con la fiera. Capì che il problema era la solitudine e allora si offrì di fargli compagnia e di andare a fare una passeggiata insieme così il principe avrebbe potuto continuare il viaggio. Così fecero e il principe si mise in viaggio da solo.
Finalmente arrivò al palazzo, bussò ma trovò solo un’anziana che camminava curva coperta da una specie di palandrana con tanto di cappuccio che gli copriva la testa. La vecchia gli disse che la maga non era in casa ma sapeva che stava arrivando e conosceva il motivo della sua visita, era una maga vera con tanto di palla di vetro. Lei sarebbe giunta appena possibile ma intanto lui, il principe, avrebbe dovuto procurare la Farina Divina.
«E come? »
«Devi andare sulla montagna dietro il castello e chiederla all’orco contadino. Sii gentile perché è molto scorbutico, ricordati di chiederlo per favore.»
Il principe, che aveva davvero tanta voglia di spaghetti, si arrampicò sulla montagna, ma orgoglioso come era ordinò al contadino di dargli la farina. Quello non fece nulla, come se nessuno avesse parlato. Il principe insistette ma solo quando si inginocchiò e implorò il contadino quello si alzò e gli consegnò un sacco della sua farina.
Tornato al palazzo trovò ancora soltanto la vecchia.
«La signora ha inviato un messaggio, sta per tornare ma intanto ha detto che il principe prepari il sacro impasto mescolando la farina con l’acqua della fonte immortale qui nel castello, poi proceda seguendo la sacra formula .»
«Devo farlo io?»
«E chi altri? »
Il principe emise un lungo sospiro e si rimboccò le maniche. Troppa era la voglia di spaghetti. Mescolo, impasto, segui la sacra formula e infine ottenuta la pasta la tagliuzzò ottenendo una gran quantità di spaghetti che mise ad asciugare eseguendo alla lettera le istruzioni.
Mentre si detergeva la fronte sentì battere sulla sua spalla. Ancora la vecchia.
«La signora ha inviato un altro messaggio: il principe deve raggiungere Esmeralda, la mercante errante, che passa sotto le mura del castello e comperare guanciale, pecorino, uova.»
Il principe ormai non accennava la minima reazione si fece indicare la strada e vide che la mercante errante era già passata. Di corsa la raggiunse e comprò quanto richiesto. Tornato al castello la vecchia era pronta con un altro messaggio.
«La maga è quasi arrivata e fa dire al principe che metta sul fuoco una pentola contenente abbondante acqua che, a bollore, salerà moderatamente. Introdurrà quindi gli spaghetti nell'acqua. Nel frattempo avrà tagliato il guanciale in dadini, lo avrà messo in un tegame con l´aggiunta dell´olio e lasciato friggere fino a quando il grasso non sarà diventato trasparente e leggermente croccante. Avrà sbattuto intanto le uova in una ciotola quindi unito il pecorino, il pepe macinato e, nel momento in cui scolerà la pasta, il guanciale. Quindi il principe porterà il tutto nella sala del banchetto.»
Il principe esegui tutto alla perfezione, prese il pentolone e si diresse nella sala del banchetto.
Quando entrò venne accolto da un fragoroso applauso.
A tavola c’erano il gran ciambellano, i due servitori, l’orso pidocchioso, il leone depresso, il contadino della montagna e la mercante errante. E a capotavola la vecchia, che si era tolto il cappuccio svelando la sua vera identità: la Maga della Pasta. Tutti seduti e pronti con il tovagliolo intorno al collo.
Il principe rimase impietrito e senza parole ma venne trasportato di peso e fatto sedere vicino alla maga. Intanto tutti mangiavano con gran gusto gli spaghetti che aveva cucinato così diligentemente. Grandi risate riempivano la sala.
Il principe fissava a bocca aperta la maga che intanto, mentre portava alla bocca quegli spaghetti che sembravano così buoni, gli sorrideva con gli occhi.
«Ma… io sono stato ingannato. »
«A sentire questi spaghetti direi piuttosto che sei stati addestrato ed edotto nel modo migliore. Guarda i volti dei tuoi commensali.»
Il principe osservò gli altri che stavano gustando quel piatto che lui aveva preparato dall’inizio alla fine.
«E adesso assaggiali.»
gli disse la Maga della Pasta porgendogli la sua forchetta piena di quei filamenti dorati pieni di condimento succulento.
Il principe assaggiò fissandola negli occhi e rimase estasiato. Rimase estasiato dall’atmosfera, dagli occhi della maga e dagli spaghetti che lui, proprio lui, aveva preparato dall’inizio alla fine.
E si senti felice come mai era stato in vita sua
Quando torno nella sua città, posò le sue valigie, andò nel centro della città, trovo un bel locale e lo sistemò con tavoli, sedie, una bella cucina e sull’ingresso mise una grande insegna “DAL PRINCIPE DEGLI SPAGHETTI - ristorante”.
E vissero tutti sazi, felici e contenti.